Socrate sull’Anima
Scritto da Dario Urzi il 27 giu., 2011, su GOOD LIFE LAB
“Che cosa deve entrare in un corpo affinché esso sia vivo?” chiese Socrate.
“L’anima”, disse Cebete.
“Ed è sempre così?”
“E come potrebbe essere diversamente”, controbattè Cebete.
“Di conseguenza l’anima, in qualunque cosa penetri, vi entra sempre portando la vita?”
“Sì”, annui l’altro, “quando entra in un corpo la porta di certo”…
“Ma adesso, amici miei”, riprese Socrate, “ecco un punto su cui mi pare giusto riflettere.
Se veramente l’anima è immortale si deve averne cura non solo durante quel lasso di tempo che noi chiamiamo vita, ma per sempre e, nella circostanza particolare in cui mi trovo, può sembrare terribile il rischio di trascurarla.
Infatti, se la morte ci liberasse da tutto, che buon affare sarebbe per i malvagi che, una volta morti, si separerebbero sia dal corpo che dall’anima e, quindi, anche dalla loro malvagità.
Ma a questo punto, dal momento che è apparso chiaramente che l’anima è immortale, per essa non ci può essere altro mezzo di fuga dai mali e di salvezza che quello di diventare buona e saggia il più possibile.
Perché l’anima se ne va nell’Ade portando con sé nient’altro che la sua formazione spirituale e la sua condotta di vita e questi due elementi sono per i morti, a quanto si dice, quelli che giovano o nuocciono al massimo sin dall’inizio del viaggio che li conduce laggiù”.
Dal Fedone, o sull’anima di Platone